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L’idea di un manifesto contro lo spopolamento dei piccoli paesi

Restare, una scommessa sul futuro: non in modo nostalgico o eroico, ma creando tutte le condizioni per un futuro migliore. Si è svolto ieri sera a Tiggiano il primo incontro “Ci voglio credere. Le forme possibili del restare tra utopia e concretezza. Verso un manifesto comune nel Capo di Leuca”, che porterà alla stesura, appunto, di un manifesto per le politiche di “restanza” contro il fenomeno dello spopolamento e dell’abbandono dei comuni del sud Salento.

Un incontro molto partecipato, che ha visto incollate alla sedia per oltre due ore cittadini provenienti da ogni comune, desiderosi di ascoltare le relazioni dei relatori. Per avere una speranza di futuro da coltivare. Dopo i saluti del segretario dell’Ambito sociale territoriale di Gagliano del Capo, del sindaco di Tiggiano Giacomo Cazzato, l’introduzione è stata fatta da uno dei due organizzatori, Giovanni Monteduro, sociologo e dottorando di ricerca dell’Università del Salento.
“L’abbandono rappresenta la forma culturale dello spopolamento.
Lo svuotamento comporta anche un vuoto di memorie, di rapporti, una desertificazione ambientale e un deserto di speranze.
Negli ultimi anni, questi fenomeni, spesso sottovalutati – quando non proprio ignorati e rimossi di fronte al canto delle sirene di una modernizzazione selvaggia – sono al centro di interesse, attenzione, riflessioni, narrazioni da parte di soggetti diversi, di studiosi di numerose discipline e anche del mondo politico. Raramente però hanno visto la partecipazione delle popolazioni, della gente comune. Come vogliamo fare da oggi in poi – spiega Monteduro -. Continuare a confondere ancora la malattia con la cura porterà alla desertificazione di queste comunità. Ci troviamo di fronte ad una emorragia di popolazione giovane che le glorie del turismo di massa e le scarse possibilità lavorative non possono compensare. Ma il fenomeno non si limita ai soli aspetti lavorativi. Abbandonare i luoghi è ormai un “fatto culturale normale”. E se vogliamo evitare il peggio allora dobbiamo intervenire”.

L’incontro è stato moderato da Daniela Fracasso, presidente della Consulta giuridica regionale di Federconsumatori.
Il primo a prendere la parola, dopo la lettura di alcuni passi del suo libro, è Gianni Forte, segretario generale Spi Cgil Puglia: “Tutti noi dobbiamo credere nel cambiamento, che deve riguardare anche il mondo relazionale. Quando parliamo di spopolamento, c’è chi afferma crisi trovi davanti ad una mutazione antropologica. È giusto che i ragazzi vadano via, per fare le proprie esperienze, ma nel momento in cui ritornano, non devono poi essere costretti a ripartire: per fare questo è necessario che i giovani trovino le condizioni per restare. Credo molto nell’economia circolare, inoltre, credo si debba costruire uno sviluppo vero e far emergere il lavoro in nero”. E il sindacalista chiama in causa le istituzioni, che devono aiutare il processo di cambiamento, ma soprattutto “si deve contrastare l’indebolimento del sistema sociale, serve investire sui servizi, perché le persone sole sono quelle più deboli. E qui ci si deve soffermare su un altro aspetto dello spopolamento: è vero che vanno via i giovani, ma con loro vanno via anche gli anziani. Ci sono persone pensionate che seguono i propri figli perché in questo modo possono aiutarli direttamente nella gestione della famiglia, ad esempio. Chi invece rimane, rimangono ancora più soli, complice un sistema sociale che non c’è”.

È stata la volta poi del professore Franco Chiarello, ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro dell’Università Aldo Moro di Bari: “Per analizzare bene il fenomeno bisogna partire dai dati e considerare che i divari tra aree ricche e aree povere sono enormemente aumentati, ed è un elemento che si riscontra tra le regioni all’interno di tutte le nazioni europee, non è un fenomeno solo italiano. Ogni nazione ha un’area più ricca e una più povera. E lo Stato non ha più la capacità di intervenire per colmare le disuguaglianze, perché tutto è in mano all’economia, ai grandi investitori”. Il docente ha lanciato l’allarme:
“La situazione è peggiorata e questo trend continuerà. Il rapporto Svimez lo conferma: spopolamento e abbandono costituiscono un combinato disposto che sta desertificando i territori. Inoltre, altro dato da tenere in conto è che si sta meridionalizzato il centro Italia. C’è una spaccatura tra aree del nord verso cui si dirigono gli investimenti e tutta una zona che sta retrocedendo. Per quanto riguarda l’emigrazione, vanno via i laureati, ma allo stesso tempo anche infermieri, camerieri e tante altre professioni. E a partire sono sia giovani che persone adulte, costrette ad andare via. Questo significa perdere pezzi importanti del lavoro e della società”.
Chiarello ha concluso la sua relazione invitando a prendere subito una posizione: “La popolazione del sud è destinata ad essere la più vecchia d’Europa. Senza i cambiamenti delle condizioni di contesto l’appello alla restanza è destinato a rimanere un progetto individuale e non collettivo. Ci deve essere un manifesto politico a tutto tondo. Senza politiche pubbliche per il Mezzogiorno il progetto della restanza non si può attuare.
Il manifesto della restanza deve avere connotati politici, peccato che attualmente non ci sia nessuno che possa farsi portavoce di un progetto”.

Il mea culpa della politica è stato pronunciato da Ippazio Morciano, ex sindaco di Tiggiano e consigliere provinciale: “Sono il primo ad ammettere i ritardi della politica, ma questo non significa che non si possa rimediare”. Il consigliere, segretario provinciale del Pd, ha poi elencato i vari progetti che si intende avviare tra i comuni che ricadono nell’Area interna.
La parola poi è passata a Luigi Russo, giornalista, che ha parlato del problema dell’inquinamento e delle ricadute sulla salute.
“Parlando di restanza non si può prescindere dal tema salute: non si può pensare di restare in un luogo se proprio lì ci si ammala. Il tema della salute è importante e difatti in molti vanno via per curarsi fuori. Chi resta deve avere il piacere di farlo e invece qui ci si ammala. Chiediamoci perché ci sono alte incidenze tumorali. E ancora, come mai gli alberi d’ulivo hanno resistito secoli e ora sono diventati fragilissimi? Bisogna parlare di veleni e di corruzione, ma questi argomenti non vengono mai trattati seriamente, anzi, si cerca di nasconderli e si accusa di essere allarmista chi vuole denunciare il problema”.

“Tra i relatori anche don Lucio Ciardo, direttore pastorale sociale, giustizia e pace, lavoro e salvaguardia del Cerato della diocesi di Ugento -Santa Maria di Leuca, che ha parlato dell’esperienza del microcredito promosso dalla diocesi e degli aiuti concreti che nel corso degli anni la chiesa è riuscita a dare, ma che sono vani se “non c’è rete e unità”. “Bisogna fare comunità, questo è importante, e bisogna iniziare a ragionare come città diffusa – ha detto il parroco -. Non dobbiamo rassegnarci questo è importante. E poi bisogna iniziare a pensare al Mediterraneo come punto d’incontro dove poter costruire speranza, costruire relazioni. La rete vince sempre”.

A chiudere l’incontro è stato Giuseppe Negro, presidente Ascla, Associazione scuola e lavoro, organizzatore dell’incontro, che ha concluso invitando tutti a fare la propria parte: “Siamo troppo autoreferenziali. Di fronte ad una emergenza così grave bisogna davvero lavorare e fare rete altrimenti non serve a niente fare convegni”. Il primo passo verso la scrittura di un manifesto per la restanza è stato fatto. E presto ci saranno altri incontri pubblici per continuare la discussione e proporre idee e azioni.

Ilaria Lia

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