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Migranti verso Bihać, tra ostacoli e speculazioni

Nel buio pesto della sera montagne e paesaggio circostante non si distinguevano più; dopo cinque ore di un viaggio sfiancante ne mancavano ancora due all’arrivo. Pensavo che il pullman si fosse fermato ad una stazione di servizio, anche se non avevo notato insegne particolari, era invece un posto di blocco. È salito un poliziotto e si è diretto sicuro ai sedili in fondo. “Scendete” ha intimato. E poi ha continuato: “Dovete scendere”. I due ragazzi hanno farfugliato qualcosa ma alla fine hanno dovuto obbedire. Sono rimasta a guardare la scena con gli occhi sgranati, il poliziotto si è accorto della mia reazione, si è avvicinato e mi ha chiesto i documenti. Ha controllato il passaporto, mi ha guardata di nuovo e poi è sceso. Il pullman è ripartito. Il mio sguardo ha incontrato quello del ragazzo seduto dall’altra parte: “Hanno pagato il biglietto, perché farli scendere?” – protesto. “È normale, è la legge, sono migranti – ha detto sicuro – per quello che ne sappiamo potrebbero essere serial killer”. Sbigottita dalla naturalezza con la quale si era espresso ho deciso di non proferire altro. Nessuna parola poteva scalfire la sua certezza granitica. L’episodio mi ha disturbato molto, e per tutto il resto del tragitto non sono riuscita a non pensare a quei ragazzi. Fatti scendere nel buio, tra le montagne, in chissà quale punto sperduto della Bosnia Erzegovina.

“Che fine avranno fatto? Semplice: si saranno messi ad aspettare – afferma Silvia Maraone, esperta di Balcani e migrazioni, coordinatrice di progetti sulla rotta balcanica, per Ipsia-Caritas – sapendo che presto sarebbero arrivati tassisti o cittadini bosniaci che si faranno pagare tra i 100 e i 200 euro per un passaggio verso Bihać. Chi non ha i soldi se la fa a piedi”.

Difficile pensare che questo escamotage non sia noto alla polizia. Il divieto d’ingresso nel cantone Una Sana, dove Bihać è capoluogo, è una delle disposizioni attivate dal premier Mustafa Ružnić già prima del periodo pandemico, nel 2019.

“Il pullman si è fermato al check point a Velečevo e lì ogni volta si verificano episodi simili”. Ciò che sconcerta è la speculazione che si fa ai danni dei migranti. La compagnia Flixbus, così come altre aziende di trasporti privati, pur sapendo che non possono proseguire il viaggio nel cantone, permette di comprare il biglietto a prezzo intero. “Un tempo c’era anche il treno da Sarajevo e proprio per evitare che fosse usato dai migranti è stato soppresso – spiega la coordinatrice -. In tanti si approfittano dei migranti, anche a Bihać alcuni di loro vivono in appartamento, pagando prezzi folli: i proprietari con l’affitto percepito riescono sia a pagare le multe, se scoperti dalla polizia, che a fare profitto. Questo è chiaramente sfruttamento”.

Il cantone è al confine con la Croazia, e rappresenta l’agognato ingresso in Europa; questo ha portato, negli anni passati in modo preponderante rispetto a oggi, un’alta concentrazione di migranti. Per questo è stata avviata una forte campagna discriminatoria e le misure anti migranti presenti qui sono uniche in tutta la Bosnia. Il premier, di questo, ne ha fatto una vittoria personale.

“Chi è contro urla di più e il premier ha saputo cavalcare l’onda dei social media – spiega Maraone – e ha messo in atto delibere regionali molto restringenti. Inoltre, utilizzando la delibera anti covid e le misure straordinarie contro la diffusione del virus, è riuscito a bloccare il passaggio dei migranti nel cantone; imporre che i migranti debbano risiedere solamente nei campi; impedire che prendano autobus, taxi, auto private. Di fatto ha vietato qualsiasi cosa: nei campi c’è tutto non hanno bisogno di andare da nessuna parte. Questa la giustificazione. Addirittura sono apparsi dei cartelli con scritto “vietato l’ingresso ai migranti”, nei supermercati e in altri luoghi, e ci sono stati momenti in cui non li facevano nemmeno entrare in moschea. Gesti di dichiarata apartheid”.

Se nel resto della Bosnia Erzegovina i migranti possessori del documento di richiedente asilo possono condurre una vita normale, nel cantone di Bihać devono stare solo nei campi profughi. E quello di Lipa, tra i più grandi e conosciuti alle cronache, è a 30 chilometri dalla città, sulle montagne, nel nulla.

“Tutte le misure di controllo, del confine e del territorio, non bloccano il problema – afferma Maraone – per queste limitazioni nessuno ritorna nei paesi d’origine, ma ciò lascia maggiore spazio ai trafficanti che approfittano della situazione. È evidente la presenza di meccanismi sotterranei e paralleli che portano ad uno stallo e favoriscono chi vuole speculare”. E difatti, i migranti continuano a transitare e a provare, fino a quando non riescono, il game, il passaggio della frontiera.

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